Brindisi, Mediaporto, 20 gennaio 2025

Conferenza e presentazione atti 1° convegno sulla militarizzazione della scuola
Intervento di Antonio Camuso, coordinatore della serata, ricercatore storico e blogger sul sito di Pugliantagonista.it
Ringrazio tutti voi per aver accettato l’invito a questo evento che segue altri che si stanno succedendo in Puglia. Premetto che quanto da me esposto qui di seguito è frutto di una discussione collettiva sorta tra coloro che si sono mobilitati in quest’ultimo anno per la fine della guerra a Gaza e in occasione dell’incontro dei G-7 in Puglia. Quest’ultimo evento ci ha visto, a Brindisi nell’organizzazione della “Cena dei poveri”, una festa popolare internazionalista e pacifista in Piazza Vittoria, partecipata da diverse centinaia di persone e a Fasano manifestare in massa per le vie del centro.
Nel mio intervento introduttivo cercherò di ripercorrere cronologicamente i processi avvenuti nella nostra regione di ciò che sinteticamente è definita la “militarizzazione di un territorio e del popolo che vi abita”. Ben più approfondite risposte e informazioni le daranno questa sera i nostri ospiti con i loro interventi.
Quindi, quali i motivi nel volere, qui a Brindisi, presentare e discutere i temi affrontati nel volume che contiene gli atti del 1 convegno dell’Osservatorio sulla Militarizzazione del sistema educativo e della ricerca universitaria?
La prima risposta proviene da un dato desunto dall’analisi della provenienza geografica degli autori presenti in questo volume. Ebbene sono tanti i pugliesi, taluni conosciuti come attivisti pacifisti o anche religiosi impegnati nel costruire ponti di Pace, quali il prespitero Losapio, o l’arcivescovo di Altamura, mons. Ricchiuti.
Questa significativa presenza è, sì un augurio di proseguire su questo cammino intrapreso dall’Osservatorio, ma anche la conferma del seme lasciato dall’impegno costante di tante e tanti di noi che, da decenni, sono stati e continuano ad esser parte attiva ed organizzatori di mobilitazioni contro il susseguirsi di avventure belliche, massacri e distruzioni, succedutisi alla caduta del Muro di Berlino. Erroneamente si disse che esso annunciava la Fine della Storia, quale forma scritta del sangue sparso nelle guerre prodotte dalla razza umana.
E in questa sala sono presenti tante e tanti di quegli attivisti pacifisti e antimilitaristi, che confermano come a Brindisi, ma a così in tutta la Puglia, continua ad ardere la fiammella della Pace che annuncia di esser viva e che illumina la Speranza, quella parola che Papa Francesco ha scelto per inaugurare l’Anno Santo.
La seconda motivazione è interconnessa con la prima, poiché è legata alla storia del rapporto complesso tra la Puglia, Brindisi compresa, e la presenza militare e come essa produca quegli impatti economici e socioculturali che sinteticamente noi definiamo col termine militarizzazione.
La Puglia del dopoguerra, con economia prevalentemente agricola, tra occupazioni di terre e repressione da parte della polizia di Scelba, subisce l’espropriazione della sua sovranità sin dai tempi del piano Marshall, conseguente quest’ultimo all’adesione dell’Italia alla NATO.
Nel porto di Brindisi all’inizio degli anni 50, dalle portaerei USA sbarcano i jet a reazione capaci di portare bombe atomiche tattiche, destinati al rinnovo dei reparti dell’Aeronautica Militare Italiana, per integrarli alla dottrina NATO dell’epoca che, in piena Guerra Fredda, prevedeva l’uso di bombe atomiche tattiche anche sul territorio nazionale se invaso da eserciti del Patto di Varsavia.
Negli anni a seguire, porti, aeroporti e infrastrutture pugliesi furono messi a disposizione o integrati nella struttura Nato ed in Italia, per chi si professava di sinistra vi era la sicurezza di essere marginalizzato se non proprio estromesso dal mercato del lavoro. Quanto accadeva da noi era il riflesso di ciò che succedeva negli USA con la caccia ai “rossi” in stile maccartista: se eri un comunista non potevi illuderti di aspirare a un posto statale o in qualche azienda partecipata.
Alla fine degli anni ’50 la crisi agricola del mercato del vino, antesignana delle storture che abbiamo assistito con la Globalizzazione, provocò la caduta del prezzo dell’uva da vino, facendo cadere nella disperazione i piccoli contadini del nostro Meridione compresi quelli del Brindisino e del Salento e da essi non ci si poteva aspettare che una cosa: la rivolta, e dallo Stato l’attesa risposta fatta con il piombo poliziesco e il carcere, come successe a San Pietro Vernotico, a pochi chilometri da Brindisi.
Avere la certezza che in questa regione, si potesse usare il pugno duro contro gli eversori dell’ordine costituito e fosse strisciante la militarizzazione del territorio, fece sì che la Puglia potesse essere consacrata ad ospitare, unica in Europa, i missili a testa nucleare all’idrogeno Jupiter, e tra i loro potenziali grilletti, le informazioni acquisite sulle forze armate del Patto di Varsavia, dalla base di guerra elettronica di San Vito dei Normanni, a 15 Kmt da Brindisi.
I missili schierati nelle basi sparse tra Gioia del Colle, Altamura, Taranto sino in Basilicata, furono ritirati a seguito della crisi di Cuba, tra il 1962- 63. Al contrario la base della NSA di San Vito dei Normanni, fu potenziata e sopravvisse alla fine della Guerra Fredda, per essere smantellata (se pur parzialmente, continua oggi ad ospitare una Solar Station della NSA) alla fine delle guerre nella exYugoslavia. Guerre, ed in particolare quella del Kosovo (in cui la nostra regione fu fortemente coinvolta, inserita nello spiegamento di attacco NATO alla Serbia) che videro sfilare in tutta la Puglia imponenti manifestazioni pacifiste.
A contribuirvi, le/gli attiviste/i pacifisti e antimilitaristi di Brindisi che, a seguire, diedero vita ad un organismo denominato “Osservatorio sui Balcani e sulla militarizzazione pugliese” e che per brevità fu ridotto nelll’acronimo di “Osservatorio sui Balcani di Brindisi” per distinguersi da un altro esistente nel Nord-Est.
Alcuni dei presenti, compreso il sottoscritto ne fecero parte e alcuni dei documenti prodotti da esso sono stati pubblicati nel corso degli ultimi 18 anni, sul Sito di Pugliantagonista, così come la documentazione è stata data in cura all’Archivio Storico Benedetto Petrone.APS, affinchè se ne curasse la memoria e fosse disponibile a ricercatori, e, studenti, docenti, ecc.
Apro una breve parentesi sull’argomento ”salvataggio della memoria”: stiamo costatando come, con l’avvento dei social, la produzione di materiale cartaceo è andata sempre più riducendosi, così come la sensibilità nel conservare la documentazione in forma tradizionale. Ormai tutto è affidato alle memoria dei server delle varie piattaforme su cui transitano i social, foto, comunicati, appuntamenti, rendendo tutto evanescente e cancellabile se ritenuto pericoloso all’ordine pubblico o semplicemente non in linea con la politica del gestore dei social. Nei fondi curati dall’Archivio Storico Benedetto Petrone-APS, potrete trovare una imponente documentazione sui movimenti sociali e politici di 50-60 anni fa, ma è residuale, al confronto, quella riguardante gli ultimi 10 anni nella forma documentaria tradizionale. Siamo sì alla cancellazione della Storia, ma proprio quella che ci riguarda e che riguarda tutti i movimenti di opposizione! E’ a mio avviso anche questo uno degli aspetti della militarizzazione della società globalizzata.
Chiusa questa parentesi ritornando alla fine delle guerre Yugoslave, nel 50esimo della nascita della NATO, l’evolversi della sua dottrina militare andò di pari passo con l’evoluzione della militarizzazione del territorio nazionale, conseguente allo spostamento di molte basi NATO-USA, più a Est, mentre in Italia come in altre nazioni europee, si assisteva al passaggio da esercito di leva a esercito professionale, a base volontaria e conseguente riduzione di caserme ed infrastrutture logistiche.
Una militarizzazione più pervasiva e subdola e che seguiva quanto avvenuto negli anni 90 con l’impiego dell’esercito per operazioni di polizia e ordine pubblico, con il consenso trasversale dei partiti, vedi Vespri Siciliani, o il dispiegamento di militari nel Salento per dar la caccia agli arrivi di clandestini dall’Albania e che nel 1997 , in piena campagna diffamatoria contro i migranti albanesi e in aria di elezioni, durante il governo Prodi vedeva l’affondamento della Nave albanese Kater I Rades. In quell’occasione un bel numero di attivisti qui presenti, compreso il sottoscritto, si misero a disposizione dei sopravvissuti a quella strage e a sostenerci, una persona integerrima, l’avvocato calabrese di origine arberesh, Giuseppe Baffa. Egli colse il nostro invito e fece sua la battaglia per la giustizia e la verità su quanto accaduto.
A fronte della militarizzazione dell’opinione pubblica nazionale che imponeva lo accettare la versione data dalla Marina militare che fosse stata la nave albanese ad abbordare la corvetta Sibilla, noi, dell’Osservatorio sui Balcani di Brindisi e Giuseppe Baffa, ne uscimmo vincitori imponendo il recupero della nave e la constatazione degli inequivocabili segni dello scontro. Purtroppo, esattamente 20 anni fa, l’avvocato Giuseppe Baffa e un suo collaboratore perirono in un incidente stradale a poche decine di chilometri da Brindisi, mentre venivano a partecipare al Tribunale di Brindisi a un’udienza del processo su quei fatti.
Nonostante quei fatti, le sostanziose risorse destinate alla Marina Militare si traducevano nel dotarla di una classe in via di evoluzione di portaerei con la previsione di aerei quali gli F-35 e di unità ad alta tecnologia, così come il rinnovo delle infrastrutture portuali: oggi, con il progetto “Porti blu” il porto di Brindisi, sarà interessato ad avere un molo atto all’attracco di portaerei di grandi dimensioni.
All’ inizio del Terzo Millennio , la parola d’ordine nel campo delle Forze Armate di divenne: “- Meno Basi, meno uomini, sospensione della leva, e tante spese su armamenti ad alta tecnologia”-
Ove sperimentare questi nuovi concetti se non le “ guerre umanitarie, per l’imposizione della democrazia e dei diritti, ecc” ?
Iraq, Afghanistan, … ma proprio qui in quest’ultimo lontano e sperduto Paese, dopo un intervento militare durato 20 anni, feticcio della prevalenza della tecnologia militare occidentale e l’assunto che la Nato fosse l’invincibile Alleanza, si sbriciolava dinanzi ad un esercito di pezzenti, quali i talebani.
Un’amara constatazione riconfermata nella guerra tra Russia e Ucraina, e ancor più in questi giorni, con la firma della tregua tra Israele e Hamas, dove le immagini che ci arrivano sono di palestinesi, massacrati, affamati ma, in un mare di rovine, agitanti, non la bandiera bianca, bensì festosamente quella palestinese, usciti a testa alta dal confronto con l’esercito più forte del mondo e protetto e rifornito dal più grande complesso militar-industriale mondiale, quello occidentale, USA -Europa.
E’ l’amara constatazione che i piccoli eserciti supertecnologizzati non sono più sufficienti a imporre nel Mondo, le decisioni di governi succubi alle richieste del Capitale Globalizzatore: il dominio e sfruttamento di risorse naturali e umane e di controllo dei Mercati. Se la soluzione deve essere l’uso della forza e bisogna prepararsi a una nuova fase di spartizione dei mercati attraverso forme di guerra tradizionali, ebbene per far ciò, i vertici NATO di Bruxelles hanno impartito la parola d’ordine alle cancellerie europee: “- prepararsi alla guerra totale, con il ripristino della leva e il ritorno a eserciti poderosi e capaci di rimpiazzare agevolmente i caduti attingendo dalle riserve di pronto impiego!”-.
Tutto ciò in nome di uno strumento militare non più mezzo di difesa nazionale, bensì elemento di soluzione delle sfide complesse generate da un sistema ingiusto e infame quale quello attuale della produzione capitalista nell’era della globalizzazione.
Una bella scossa per la classe politica italiana che, trasversalmente ha propagandato sin’oggi che l’esercito italiano è il più pacifista del mondo, quello che nelle “guerre umanitarie” va a fare da paciere dopo che gli altri “amici di merenda” hanno fatto macelli, dove ogni soldatessa e soldato è descritto al pari di una crocerossina o di un missionario, immortalato dai reporter embedded mentre distribuisce briosche e matite a bambini di sperdute scuole rurali.
Un bel rompicapo, con la crisi demografica, per chi oggi deve inventarsi dove e come reperire uomini e…donne, atti alle guerre di portata novecentesca!
Già adesso, a distanza di venti anni dal varo dell’esercito professionale, l’80 per cento di esso è composto di maturi padri di famiglia, tra cui molti nonni, che ben difficilmente li vedresti nelle trincee ucraine. Dovendo mantenere una ridda di ufficiali superiori, con un numero di generali pari a quello dell’Esercito degli Stati uniti, e tutti gli annessi e connessi, ben poco rimane per le paghe offerte a quei 15.000- 20000 giovani volontari con alto titolo di specializzazione che annualmente sono richiesti – e non si trovano- .
Una difficoltà sin’ora tamponata attingendo nel bacino di arruolamento classico: Il Meridione. Da esso proviene oltre l’80 per cento degli uomini e donne delle FFAA e le regioni meridionali, che più vi contribuiscono, sono Puglia e Campania, che si spartiscono oltre il 70 per cento e a seguire la Sicilia. Segno evidente questo della difficoltà dei giovani meridionali di trovare un’alternativa occupazionale nel Sud, confermata dalla fuga annuale di centinaia di migliaia di giovani verso il Nord e all’Estero.
Per i reclutatori del futuro Esercito di massa Italiano, oggi, alla luce di quanto richiesto dalla NATO, si impone l’enigma: ”-dove rastrellare le nuove reclute e come preparare una riserva prontamente mobilitabile che sia fatta di uomini e donne che non siano analfabeti di cultura militare e dell’uso delle armi?
Ebbene quale luogo migliore per avvicinare i giovani al “mestiere delle armi” se non la Scuola?
Prevedendo guerre, come quella afgana, di durata ventennale, e con il calo demografico, per contare su un minimo di riserva e di resilienza dinanzi a significative perdite, in un potenziale conflitto tradizionale, il vecchio metodo dei reclutatori militari, di rivolgersi alle classi quinte degli istituti superiori, non è più sufficiente e allora?
I nostri promoter del soldatino robotizzato dell’imminente futuro, eccoli a trasformare carri armati e caserme in parchi giochi per i bambini delle elementari, se non proprio dell’asilo, futuri combattenti delle guerre di domani…. Descrivendo un episodio simile inizia il contributo di Michel Lucivero nel volume che presentiamo e a lui chiediamo innanzitutto quale fondatore dell’Osservatorio sulla militarizzazione del sistema educativo, come esso sia nato e quali scopi si prefigge.
Nell’introdurre l’intervento diAntonio Mazzeo citerò uno tra le migliaia di libri e documenti che l’Archivio Storico Benedetto Petrone, oggi APS, mette a disposizione da anni a studenti, ricercatori, docenti, e che ho scelto per l’occasione odierna. Trattasi del libro “La cultura militare nelle scuole medie, “ autore il prof Eugenio Grillo, stampato a Napoli nel 1938, al fine di manifestare quanto dettato dal Regio decreto legislativo del 15 luglio 1938-XVI EF, n1249 e apparso sulla Gazz.Uff n 189 dell’anno 1938, l’anno dell’emanazione delle leggi razziali e del Patto di ferro con Hitler.
E’ il testo che preparava la gioventù italiana a essere inviata a morire nei caldi deserti africani o nelle gelide pianure russe pochi anni dopo.
All’art 1 del Regio decreto leggiamo: “All’insegnamento della cultura militare, sia di 1à, 2° o 3° grado è riservata un’ora settimanale di lezione e in ogni caso la durata del corso non deve essere inferiore di 30 ore non comprensibili di quelle impiegate per visite a caserme, enti militari, ecc, a integrazione.”

Nello stesso testo al capitolo –norme dell’insegnamento- a pag 30 nel paragrafo –Visite a enti militari- si legge: ”- L’insegnamento dovrà essere opportunamente integrato, dove e quando sia possibile, da viste a caserme, stabilimenti militari, arsenali, aeroporti, campi d’istruzione ed esercitazione, nonché ad assistere alle stesse e a parate, ecc…”.
A commentare ciò invito Antonio Mazzeo che alcuni di noi conoscono quando, giovanissimo, era tra i pacifisti che nei lontani anni 80 manifestavano contro l’installazione dei missili Cruise con testata nucleare a Comiso, in una Sicilia dai connubi tra mafia politica, logge massoniche segrete, intrecci tra neofascisti e servizi segreti e che vide nell’agosto del 1986 il pestaggio, manu militari dei pacifisti nel loro campeggio. Mazzeo da anni porta avanti un’opera d’informazione e denuncia sui temi della legalità, su quanto si nasconde dietro il progetto del Ponte sullo Stretto, ma ultimamente, quale docente, opponendosi alla crescente influenza del mondo militare nel settore educativo scolastico è tra i fondatori dell’Osservatorio contro la Militarizzazione.

La mia introduzione all’intervento della giornalista Futura D’Aprile è anch’essa condizionata a richiami storici. Il primo si riferisce a come Marco Porcio Catone detto Catone il censore nell’antica Roma, fosse famoso nell’ aver voluto dimostrare, presentandosi al Senato con un fico cartaginese giunto fresco di giornata a Roma, quanto la vicinanza di un economia concorrente quale quella cartaginese, fosse fatale a Roma , esclamando “-Carthago delenda est!. “-
Egli, in tutte le piazze, quale noto influencer dell’opinione pubblica romana , terminava ogni suo discorso con l’affermazione:- “Ritengo che Cartagine debba essere distrutta!-“ anche se l’argomento in discussione fosse stato una corsa di cavalli. Un esempio questo di condizionamento dell’opinione pubblica a fini militari.
A tal fine per riportarci a tempi a noi più vicini ho qui con me un altro libro proveniente dai fondi curati dall’Archivio Storico Benedetto Petrone-APS, ovvero:
“-La macchina di propaganda del Pentagono”, edito nel 1970 da Ed Riuniti, e autore il senatore americano William Fulbright. Un libro che contiene le sue infuocate denunce al Senato americano sul pesante condizionamento del complesso militar-industriale sui Media, ai tempi della guerra del Vietnam e della corsa alla costruzione di un arsenale atomico atto a distruggere decine di volte la Terra. Un complesso militar- industriale tanto pericoloso per la” democrazia americana” che il presidente Eisenhower lo denunciò pubblicamente nel suo discorso di commiato alla nazione il 17 gennaio 1961, e che oggi suona così attuale con le similitudini con quello fatto da Biden al momento del commiato. Ma, con una grave e ipocrita amnesia, ove citando il pericolo delle oligarchie nel campo dei social-media, non cita la loro interazione e supporto al complesso militar-industriale e quanto entrambe oggi traggano sostenendosi a vicenda, guadagni spaventosi, essendo entrambi produttori di ciò che in termini marxisti, è definito il maggiore indice di saggio di profitto e come tali, immuni da rischi di crisi finanziarie.
Alla giornalista Futura d’Aprile chiediamo quindi quale sia il ruolo dell’informazione, dei media e della comunicazione compresi i social nel favorire i processi di militarizzazione delle coscienze e dell’intera società e quali riflessi ha constatato sul suo lavoro di reporter?
Le foto dell’evento

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Il comunicato stampa degli organizzatori dell’evento
“L’osservatorio nazionale contro la militarizzazione delle scuole e delle università” insieme ad alcune associazioni hanno realizzato nella serata di lunedì 20 gennaio nella sede di Mediaporto a Brindisi un interessante incontro alla presenza di un folto pubblico.
I relatori hanno parlato di come i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno sostenuto con sempre maggiore vigore l’ingresso delle Forze Armate nelle scuole con avvenimenti come quello tenutosi alla caserma Carlotto di Brindisi qualche tempo fa, veramente deplorevole.
Siamo coinvolti come città nel regime di guerra, sia attraverso la propaganda bellica rivolta al sistema educativo, sia attraverso l’ addestramento delle forze da sbarco ucraine da parte del Battaglione San Marco di Brindisi, come riporta l’ articolo che alleghiamo, a firma di Antonio Mazzeo, insegnante, peace-researcher e relatore dell’incontro.
Si è parlato di come le Forze Armate hanno il compito di avvicinare le nuove generazioni alla cultura della guerra e allo stesso tempo di prospettare l’ arruolamento come possibilità di lavoro, soprattutto al Sud, anche in vista del ripristino della leva obbligatoria.
La prospettiva è quella di ricostruire un esercito di massa per compensare l’insufficienza della guerra tecnologica, cosi come sostengono i generali della Nato.
I relatori dell’incontro hanno affermato che la Puglia, e con essa la citta di Brindisi, ricopre una parte fondamentale nei programmi di guerra che guardano ad Est fino ad includere la Cina.
L’arrivo a Brindisi della nuova portaerei “Trieste” ne è un evidente segnale, unitamente alla presenza delle altre basi e delle fabbriche del complesso militare industriale.
L’impegno preso alla fine della serata è quello di coinvolgere le scuole in iniziative di pace, che si contrappongono alla cultura della guerra e al sistema di potere che ne viola impunemente il suo ripudio, come previsto dall’articolo 11 della Costituzione.
Brindisi 21.01.2025
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